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2 buoni motivi per andare a fare il Dente del Gigante

Questo qui e’ il primo motivo. Se non siete pratici con i profili del bianco e non lo riconoscete al volo sappiate che e’ quello li’, quello ovvio, quello che dici manno’ mica puo’ essere quello! E invece si.

Il secondo motivo lo prendo in prestito dalla guida monti d’Italia “Monte Bianco Volume 2″ di Renato Chabod, Lorenzo Grivel, Silvio Saglio e Gino Buscaini del 1968:

“Dente” alla valdostana, e non “Aiguille”, alla savoiarda. Come abbiamo avvertito nel primo volume “Aiguille, indica una cima ardita, una guglia”. Ora se il Dente visto da Nord rientra ancora nel genere Aiguille, da Sud e da Est si presenta invece come il più splendido esemplare della specie “Dente”, tanto per forma tanto per la candida “gengiva” nevosa da cui si erge. Anche sul versante savoiardo viene usato il toponimo “Dente”: Dent du Requin, du Crocodile, du Caiman, ecc…; ed il nostro Dente del Gigante deve pertanto non solo chiamarsi “Dente” ma essere considerato come il Dente per antonomasia, il prototipo della specie Dente. Prova ne sia, che mentre si dice “ho fatto il Requin, il Caiman”, si dice invece “ho fatto il Dente”, considerando inutile la specificazione “del Gigante”.

Malgrado questa sua caratterizzazione valdostana il Dente non si trova sulla cresta di confine, ma bensì interamente in territorio francese.
La prima ascensione del Dente è fin qui sempre stata assegnata ad Alessandro, Alfonso, Corradino e Gaudenzio Sella, che ne salirono la punta sud il 29 luglio 1882 con Jean Joseph, Battista e Daniele Maquignaz; ma la vetta era già stata raggiunta il precedente 28 dalle stesse guide, sì e come lealmente riconosce Alfonso Sella nel suo necrologio di J. J. Maquignaz: “L’abilità, la perseveranza ed il coraggio che il Maquignaz adoperò in quell’occasione verranno sempre ricordati, perché non sarà possibile superarli; dopo un attacco accanito la montagna dovette cedere alla volontà ferrea di quell’uomo. Egli giungeva alla cima col figlio e col nipote il giorno 28 luglio 1882. Noi eravamo alla capanna ad attenderlo…”. Benché il Sella parli indifferentemente del figlio e del nipote (non dimentichiamo che il capoguida Jean Joseph aveva allora la rispettabile età di 53 anni), l’uomo di punta fu in realtà il nipote Daniele, che “superò per primo tutti i passaggi difficili, essendo lui il più leggero ed il più alto”. Daniele Maquignaz (1846-1910: figlio di Jean Pierre fratello maggiore di Jean Joseph) fu senza subbio una guida straordinaria, molto superiore come arrampicatore all’erculeo ma pesante Alessandro Burgener, esperto sul ghiaccio, svelto come un gatto, rapidissimo, pieno di conscio ardimento che non trasmodava mai in temerarietà.
Nella salita del 29 luglio i Sella si divisero il due cordate: la prima composta da Alessandro e Gaudenzio, con J. J. e Daniele Maquignaz, la seconda da Alfonso e Corradino con Battista Maquignaz. Rinunziarono alla vetta più alta perché per raggiungerla “sarebbe occorsa un’ora di tempo, la quale mi faceva difetto, perché volevo lasciare il piacere della salita anche ai miei fratelli, che mi attendevano più sotto, e d’altronde il Dente era soggiogato, e la salita della seconda punta, incomparabilmente più facile della salita della cresta su cui stanno le due punte, non aveva più importanza alcuna”.
Restava così da conquistare la punta Nord: e vi provvide W. W. Granham con Alphonse Payot ed Auguste Cupelin, il 20 agosto 1882, rivendicando poi, in base all’argomento formale della vetta più alta, quella prima ascensione del Dente che sostanzialmente era invece già stata compiuta dai Maquignaz, per i suoi suesposti convincenti motivi Sella. Fra i tentativi va particolarmente ricordato quello di A. F. Mummery e A. Burgener, che nel 1880 raggiunsero la piattaforma ai piedi della gran placca, lasciandovi un bastone ed un biglietto con la scritta “absolutely inaccessible by fair means” (assolutamente inaccessibile con mezzi leali).
L’impiego di una pertica, di ‘parecchi decametri di corda’, di ‘punte di ferro’ e del martello con cui “il Maquignaz ebbe la felice idea di rompere la testata di questo straterello… tanto che il piede vi trovasse appoggio”, parve allora un sacrilegio, mentre fa oggi sorridere di fronte ai ben più perfetti e sicuri mezzi attuali di arrampicata artificiale: e non può comunque farci dimenticare il coraggio con cui i Maquignaz affrontarono una salita che dalla piattaforma Mummery, e per quel tempo, si presentava come veramente formidabile.”

Mica pizza e fichi…

Via “danza provenzale” alla rocca provenzale

Il C.A.Z. in una sua composizione atipica, allargata in fase festaiola e iper-ristretta in fase realizzatoria ha effettuato una trasfertona in val Maira (Piemonte) e per festeggiare il trentesimo genetliaco de “Il Socio” e per realizzare la via di cui in oggetto, suggerita da “La Socia”, che come al solito prima suggerisce e poi nojaltri si pena come degli stronzi :) No worries Socia, ti ci portiamo al piu’ presto!

La rocca provenzale e’ questo belinone di quarzite qui, la foto e’ presa dall’abitato di Chiappera e si vede bene la parete su cui corre la via e la vallata (a dx della rocca) su cui si sviluppa il sentiero d’avvicinamento.

Per la via cito un paio di relazioni, qui e qui (questo ultimo e’ un pdf) che pero’ in effetti non ci hanno DAVVERO soddisfatto, per cui mi permetterei di copincollarne una qui sotto (quella di cuneoclimbing.it) e mi permetterei addirittura di metterci delle note a margine che spero aiuteranno i ripetitori.

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primi salitori: Dino Degiovanni ed Enrico Bruno estate 2001
quota partenza (m.): 1700 circa
sviluppo (m.): 200
tempo di salita: 3 ore
difficoltà: D+ (V+ max)

[NDR: non e’ vero. Il max in libera, e’ 1 passaggio 1, il ristabilimento dopo lo strapiombo di L6, che FORSE era V+ all’epoca della chiodatura, adesso le prese buone chissa’ dove stanno, alla base della via credo, e in libera NON e’ niente di meno di 6a+]

esposizione: E
località partenza: poco sopra Chiappera
punti appoggio: Campeggio “Campo Base” o qualsiasi li’ attorno a Chiappera
periodi dell’anno consigliati: da maggio ad ottobre
materiale: 2 corde da 60, 10 rinvii, qualche friends medio piccolo

ACCESSO STRADALE E AVVICINAMENTO
Da Cuneo fino a Dronero, poi si percorre l’intera Valle Maira fino al suo termine. Arrivati a Chiappera si continua per 2 km circa fino alla partenza del sentiero per il Colle Greguri dove si lascia la macchina (cartello indicatore). Si percorre il sentiero per 30’ circa fino ad individuare la zona di attacco; giunti
ad un ripiano si piega verso sinistra per tracce fino alla base della parete.
La via attacca una decina di metri a sinistra della Bonelli, il primo spit, poco visibile, è posto sopra un tettino obliquo; la prima sosta è a sinistra di un evidente alberello su cui sosta la Bonelli.

[NDR: se non si guarda la foto in cima al pdf linkato lassu’ l’attacco e’ quasi impossibile da immaginare con questa descrizione. Durante l’avvicinamento, affiancando la prima meta’ della parete e’ evidentissimo lo spigolo su cui corre la via “Spigolo di Gaia”, e’ giallo e enorme; “danza provenzale” attacca 10 metri a destra di quello spigolo.]

Nella foto l’itinerario è quello in rosso.

[NDR: la foto e’ quella in cima al pdf di cui sopra]

ROCCIA
Quarzite da buona ad ottima; la presenza di zolle erbose sulla via non disturba più di tanto l’arrampicata.

CHIODATURA
A spit da 10 distanziata, soste su 2 spit con maillon

[NDR: occhio, che la chiodatura e’ distanziata davvero. Io e il socio abbiamo dedotto che la logica del chiodatore e’ stata: “quando e’ facile, il chiodo NON C’E'”. Non “e’ distante”, non c’e’ proprio… Quest’approccio puo’ impressionare i falesisti non tanto sui passaggi ++duri dove i chiodi ci sono (sul crux in strapiombo di L6 ci sono 3 spit in 2 metri…) ma sui passaggi sul IV/V dove bisogna mettere in conto dei runout di 7/8 metri]

DESCRIZIONE

L1 IV+ si sale facilmente una decina di metri su placca a gradoni fino ad un piccolo tettino, poi su placca fino ad una cengetta erbosa; un ultimo murettino con alcune lamette delicate porta in sosta su 2 fix (10 m a sinistra c’è S1 dello Spigolo di Gaia)

[NDR: 30 m. l’ultimo murettino se pur protetto non e’ niente banale.]

L2 V+: si sale la bellissima placca verticale con passaggi tecnici e delicati fino a piegare a destra su cengia erbosa dove è posta la seconda sosta

[NDR: 45 m. che sono tanti. “Piegare a dx.” e’ forse un po’ fuorviante in quanto il tiro e’ praticamente tutto verticale se non un pelo obliquo a sx. meno gli ultimi 3 metri. Questo tiro e’ molto tipico del resto della via: essa non ti molla un secondo. Non esistono 5 metri in cui ti riposi, la continuita’ e’ INCREDIBILE.]

L3 V: si sale il muretto fino ad uno strapiombetto che si supera utilizzando delle lame, poi una delicata placca verso sinistra porta sotto un muretto finale che si supera.

[NDR: 20 m. Che si supera? Come si supera? Boh… :) Bel tiro breve, il cui sviluppo tende a sinistra. Pigliatevi questa buona abitudine: se siete almeno 1 metro sopra all’ultimo chiodo e non vedete il prossimo, alla prima occasione mettete una protezione veloce.]

L4 V+: si attraversa verso sinistra prima facilmente, poi un passaggio verticale protetto bene, infine sempre sulla verticale si vince un muro articolato (possibilità di integrare) e si esce su un comodo ripiano in cui si sosta in comune con la classica Via Bonelli

[NDR: 25 m. Il traversino iniziale e il passaggio verticale che portano ad aggirare il tetto e la magnifica fessura off-width della “Bonelli” sono tosti. Ci stanno 3 chiodi in 10 metri che sembra uno spasso ma se ci arrivate allenati da falesia, sul passaggio verticale vi mettete a piangere. Cuore saldo, dita agili e piedi sicuri, questo passaggio, se lo fate da primi in libera ve lo potete rivendicare con gli amici]

L5 IV+/V: si supera il bombé sopra la sosta, poi fin sotto ad uno strampiobino (chiodatura distanziata), per placche più appoggiate con presenza di qualche zolla d’erba e con chiodatura da ricercare si arriva alla sosta su placca inclinata

[NDR: 50 m. Tantissimi. I 2 strapiombetti sono da azzeccare bene, il problema vero pero’ e’ la caccia al tesoro da fare per trovare i chiodi… Ricordatevi della regola d’oro sulle protezioni rapide]

L6 V+/AO per placca inclinata su giunge sotto un bel strapiombo chiodato vicino che si supera, uscendo su una rampa inclinata ascendente verso destra (attenzione a alcune lame instabili appoggiate) a cui segue un bel muretto verticale ben ammanigliato, poi più facilmente, ma sprotetto si arriva in sosta. E’ probabile che alcune prese che permettevano agevolmente il ristabilimento sullo
strapiombo siano saltate via: i primi salitori hanno gradato la libera in V+.

[NDR: non e’ probabile, e’ sicuro. La libera di ‘sta roba non e’ meno di 6a+. Dopo il cosiddetto muro verticale ammanigliato c’e’ quella che sembra una sosta intermedia. Fatela. Vi permette di far correre meglio le corde proteggendo il secondo che sale sullo strapiombo, Poi da li’ rimane un tirello di 20 metri di III con 2 spit fino alla sosta vera e propria che conclude la via.]

Discesa: In doppia sulla via o si prosegue ancora su terreno da attrezzare fino a raggiungere la normale della Provenzale.

[NDR: fate le doppie. Dalla fine della via ci si cala fino alla sosta sotto allo strapiombo, poi un’altra doppia solo per L5, poi una L4 + L3 (occhio che e’ parecchio diagonale a destra e non mancate la sosta in cima a L2 senno’ siete nella merda. Annodate le corde.) e poi fino alla base, avendo cura di passare a destra (salendo…) dell’alberello e SOLO E SOLTANTO se siete MATEMATICAMENTE CERTI che le corde siano 60 metri, noi siamo arrivati per terra con meno di 2 metri d’avanzo…]

Commenti personali: Piacevole arrampicata con molti passaggi di precisione. La spittatura è abbastanza sportiva, forse troppo considerando che la via per la difficoltà apparentemente bassa, può attirare cordate con poca esperienza. Abbinabile se si è veloci con la vicina Spigolo di Gaia.

[NDR: sono parole sante. Se il vostro grado max tecnico e psicologico e’ il 6a+ in falesia con 1 spit ogni 2 metri occhio che questa via vi mena. Forte.]

Il C.A.Z. alla riscossa!

[Leggete il disclaimer]

Grande exploit del CAZ (Club Alpino Zapatista) in quel della val Cerusa (gia teatro di imprese mica da ridere, tipo questa e questa) e piu’ precisamente nella zona della nuova via Andrea e Paolo di cui segnalo la relazione fatta da uno dei chiodatori nonche’ il topic relativo sul forum di quotazero.

Leggetela bene la relazione che fa il buon Christian Roccati sul suo sito, per almeno 2 motivi:

  1. suddetto Roccati scrive bene e vale la pena farsi un giro sul suo sito e leggersi un po’ della sua roba, sia online che dentro ai suoi libri
  2. la storia della via e’ abbastanza cruciale per capire perche’ e quanto ci teniamo a questo posto.

L’exploit e’ la realizzazione di una variante di questa via, precisamente al terzultimo e al penultimo tiro. Dovessi scriverne la relazione lo farei cosi':

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Variante al terzultimo e penultimo tiro della nuova via Andrea e Paolo – TD (+?) 30m max VI+(obbl. VI/A2)

Il tiro e’ stato aperto e chiodato dal basso senza l’ausilio di corde fisse, cliffhanger o altro, un rack di friends da una parte, martello e chiodi dall’altra :)

La variante attacca la placca direttamente sopra le roccette di collegamento tra L8 e L9 e sale dritto per dritto in verticale una decina di metri in basso a destra rispetto all’attacco di L9.

Dalla base si vede un chiodo di colore verde sopra un risalto leggermente strapiombante, lo si raggiunge leggermente da destra e si punta il prossimo  chiodo anch’esso di colore verde circa 4 metri piu’ in alto, piazzato alla base di una bellissima dulfer che si sale completamente. Si protegge benissimo a friends medi (1-1,5 bd.) o a nut grandi.
Finita la dulfer si prosegue  lungo una spaccatura che sale in alto a destra (chiodo grigio), all’altezza del chiodo stesso si traversa 2 metri a dx per poi salire in verticale (delicato) puntando l’evidente spaccatura sotto la pancia strapiombante (2 chiodi ravvicinati, 1 a “v” sulla spaccatura e 1 piatto poco piu’ in basso a destra).

La pancia si attacca verticalmente sopra al chiodo nella spaccatura inseguendo in netto strapiombo una serie di tagli orizzontali che si sfruttano come buoni appigli per le mani. Dopo il primo passo di forza si trova un chiodo color inox e poco sopra di esso sui tagli orizzontali e’ possibile proteggersi con friends medio-grandi (2-3 bd.).

Dopo la serie di tagli orizzontali si traversa un metro a destra e su buoni appigli ma sempre in strapiombo si raggiunge la cima di un evidente pilastrino.
Da li’ in poi piu’ facilmente fino a una cengetta con un alberello con cordino (zero chiodi, eventualmente proteggibile con friends medi) e oltre l’ultimo risalto roccioso fino a una cengia ben piu’ grande dove si puo’ sostare su un enorme albero.

NB: questa variante e’ decisamente piu’ difficile della via originale e prevede un livello di ingaggio parecchio maggiore, su 30 metri di sviluppo ci sono infatti 5 chiodi (chiodi, non spit) e il resto va protetto aleatoriamente, compreso lo strapiombo di 6a. Bisogna mettere in conto dei runout tra i 5 e i 7 metri sui passaggi meno compicati. Oltre a cio’ va valutato che la roccia su questo tiro e’ praticamente vergine, al momento in cui scrivo esso e’ stato percorso 5 volte (non per dire poche eh, proprio 5 volte di numero. Compresa l’apertura.) questo significa non che ci sia “rischio” di rompere qualche appiglio, ce n’e’ quasi certezza.

Per questi motivi la ripetizione di questa variante e’ consigliata solamente a chi padroneggia sia il grado che le tecniche di protezione aleatorie.

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DISCLAIMER: non si salgono le montagne da soli. No! Nemmeno con la merda metereologica, tantomeno da soli E con la merda metereologica. Se lo fate e muorite, poi non dite eh l’avevo letto su antisocial che senno’ vi meno. Un’altra cosa che non si fa’ e’ chiodare dal basso le vie di VI grado :)